André Villas Boas Special two

3 maggio 2012 by Emiliano Adinolfi

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33 anni, volto da attore, una storia che sembra uscita da una sceneggiatura hollywoodiana e le stimmate del predestinato della panchina: scopriamo tutto sull’unico vero erede di Mourinho.

Luís André Pina Cabral Villas Boas ha ben poco in comune con gli allenatori tradizionali: non ha un passato da giocatore, non aveva legami nel calcio e ad un età verdissima per un tecnico (classe 1977) è già alla guida, con successo, di un top club. Il genio di Oporto è cresciuto a pane e calcio, ma quello virtuale: fruitore maniacale di videogame calcistici, in particolare del celebre manageriale Championship Manager, Villas Boas nel 1994 riesce a conoscere l’allora allenatore del Porto Bobby Robson. Una coincidenza fortuita per un 17enne qualunque? Non proprio: il destino vuole che l’allenatore inglese vada a vivere nello stesso palazzo della nonna di André, che da quel momento sfrutta ogni momento libero per andare a trovare la vecchina, con la speranza di incontrare Sir Bobby.

Quel giorno non tarda ad arrivare: davanti all’ascensore dello stabile il giovane teenager trova il coraggio di presentarsi al leggendario manager britannico, esponendogli le sue idee sul calcio e alcune considerazioni sul Porto e bombardandolo di domande, invitandolo ad un utilizzo maggiore dell’attaccante Domingos Paciencia. Quel ragazzo così vispo e preparato colpisce Bobby, che lo invita al campo di allenamento dei Dragões. Da lì a poco Villas Boas, con i suoi mille foglietti e le schede di tutte le squadre e i giocatori del campionato portoghese, entra a far parte dello staff tecnico di Robson e comincia la sua avventura a bordocampo: grazie alla ‘raccomandazione’ dell’allenatore inglese riesce a partecipare all’esame di abilitazione Uefa C, solitamente riservato ai maggiorenni, a soli 17 anni e nel 1996 ottiene anche il patentino B.

In quegli anni André conosce anche Mourinho, di cui diventa assistente nel 2001, quando Josè arriva a sedersi sulla panchina del Porto. Prima di affiancare quello che sarebbe diventato lo Special One Villas Boas si è fatto le ossa con un’esperienza molto particolare: nel 2000, dunque a soli 23 anni, viene infatti assunto come commissario tecnico della Nazionale delle Isole Vergini Britanniche (diventando il più giovane allenatore internazionale del pianeta), incarico che ricopre per 18 mesi prima di tornare, in qualità di allenatore dell’Under 19, al Porto. Mourinho gli affida il compito di compilare i rapporti sulle formazioni attuali, e in pochi mesi si trasforma in una delle più importanti risorse dello staff del tecnico di Setubal, grazie alle sue conoscenze tattiche.

Villas Boas partecipa a tutti i successi di Mou in Portogallo ma continua a studiare da allenatore, e nel 2003 ottiene anche l’abilitazione Uefa A. I suo contributo è però ancora fondamentale per Josè tant’è che quando arriva la chiamata del Chelsea il tecnico non ci pensa due volte a proporgli di seguirlo in Inghilterra. Ormai André è uno dei segreti dei trionfi delle squadre dello Special One, che lo definisce i suoi “occhi e orecchie” e lo porta con sé anche all’Inter. Anche alla Pinetina finiscono con l’apprezzare il lavoro di Villas Boas, grazie alla sua maniacale cura per i dettagli tattici e ai dvd che produce in serie per sviscerare tutti segreti degli avversari.

Nell’ottobre del 2009, dopo otto anni di collaborazione, il rapporto con Mourinho si interrompe: alla soglia dei 30 anni André decide di tentare l’avventura da primo allenatore, dimettendosi dal suo incarico all’Inter quando arriva la chiamata dell’Academica. Lascia Appiano Gentile tra abbracci e sorrisi: al momento dei saluti per Villas Boas c’è in regalo per lui una maglia nerazzurra con il numero 1 e il suo nome sulle spalle. Tutti alla Pinetina conoscono la sua grande preparazione e la sua competenza, e sono in tanti a prevedere per lui un futuro da big.

C’è anche chi giura che sia stata sua, e non di Josè, l’intuizione di schierare Eto’o sull’esterno, mossa tattica che ha poi permesso all’Inter di centrare lo storico triplete. Nessuno però forse poteva immaginare che la sua carriera avesse un’impennata così repentina: chiamato a salvare l’Academica, ultimo in classifca dopo una partenza da incubo sotto la gestione Gonçalves, Villas Boas chiude il campionato con un sorprendente undicesimo posto, cambiando letteralmente volto alla squadra.

Nell’estate del 2010 il richiamo del Porto, che punta su di lui per il dopo Ferreira. Subito un trionfo, ad agosto, nella Supercoppa portoghese contro il Benfica e in seguito un filotto impressionante di successi in campionato. I Dragoes sotto la sua gestione cominciano a sbriciolare record su record, tra i quali spiccano le 36 vittorie consecutive (considerando tutte le competizioni), 3 in più del precedente primato stabilito proprio da Mourinho. L’allievo supera dunque il maestro: vince il campionato al primo colpo (Josè ci riuscì alla seconda stagione da head coach), coronando la sua cavalcata trionfale con il 2-1 rifilato al Benfica al Da Luz, che gli permette, con cinque giornate d’anticipo, di laurearsi campione senza perdere neanche una partita. Anche in Europa League il Porto vince e diverte: 13 vittorie, 1 pareggio e una sconfitta, con il 5-1 allo Spartak Mosca nella gara d’andata dei quarti di finale come fiore all’occhiello della campagna continentale.

L’influenza di Mou è evidente nelle idee di Villas Boas: la grande attenzione alla fase difensiva (solo 9 le reti concesse durante tutta la Primeira Liga) si unisce però ad un’altrettanto accurata ricerca del goal attraverso la manovra, che spinge a paragonare il suo dinamico 4-3-3 a quello di Guardiola al Barcellona. Devastante in attacco, in particolar modo sulle fasce laterali, impenetrabile centralmente: il Porto è una macchina pressocchè perfetta, come dimostra l’imbattibilità in campionato. L’unico vero passo falso della stagione dei biancoblù è stato nella finale d’andata della Taça de Portugal (la coppa nazionale), persa 2-0 contro il Benfica. L’accostamento allo Special One non è dovuto però soltanto ai suoi successi o al modo in cui scendono in campo le sue squadre, ma anche ad una certa affinità caratteriale: è meno burbero di Josè ma ha la tendenza a non concedere interviste e a  ‘sguazzare’ nelle polemiche, dando vita a conferenze stampa degne del suo maestro.

 

 

 


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