1. Infortuni nel calcio

    30 maggio 2019 by Emiliano Adinolfi

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    Dalla carenza di Vitamina D a una cultura dell’alimentazione da cambiare, ecco l’intervista a Claudio Tozzi – esperto di preparazione atletica – per capire il motivo dei numerosi infortuni nel calcio italiano: “Farà strano leggerlo, ma la miglior performance si ottiene con molte meno ore di allenamento e con una maggiore intensità e recupero”

    Il momento è delicato. Già, non siamo davanti al più lieto degli incipit, semplicemente in Serie A, e più in generale nel calcio italiano, qualcosa non funziona come dovrebbe. Questione di tattica e vittorie? Non proprio, anche se i risultati del campo sarebbero la logica conseguenza del tema che abbiamo deciso di portare alla ribalta: ovvero quello dei troppi infortuni nel nostro campionato. Anche se, forse, come sosterrebbe la stragrande maggioranza degli addetti ai lavori, è soltanto colpa del caso. Della serie: ‘Siamo perseguitati dalla sfortuna. Forse dobbiamo lavorare di più…’. Abbiamo deciso di andare oltre, facendoci strada nel nostro viaggio grazie al migliore degli alleati: la biologia umana. Non solo, con noi ha deciso di partecipare anche Claudio Tozzi, il più grande esperto di preparazione atletica sulla forza in Italia e autore di BIIOSystem, libro bestseller sull’allenamento. Tra gli allievi di Tozzi, oltre a numerosi sportivi, c’è stato anche Tiberio Ancora: attuale Consultant Personal Trainer/Nutritionist del Chelsea e uomo fidato di Antonio Conte. Non proprio un allenatore e una squadra a caso, perché il modello di allenamento Blues è uno dei pochi ad avvicinarsi a quello che, sin dal Paleolitico, ci ha imposto madre natura.

    La sfortuna c’entra poco, molto poco
    Attenzione, meglio fare una premessa doverosa: la componente del caso a volte ci mette lo zampino. Roba imprevedibile. “Certo, quando l’avversario ti entra col piede a martello, quando sbatti la testa, allora lì c’è poco da fare. Ma questi sono da chiamare semplici incidenti di gioco, che tra l’altro capitano con meno frequenza nel corso di una stagione rispetto agli altri infortuni (dagli strappi ai crociati che saltano, passando per stiramenti e contusioni varie). Qui, invece, la componete della sfortuna non c’entra proprio nulla”, spiega Claudio Tozzi. Entriamo quindi nel dettaglio, dentro il nostro corpo: “Gli infortuni dipendono dai troppi chilometri percorsi dai giocatori rispetto alla biologia umana. In particolare la miglior performance, farà strano leggerlo, si ottiene con molte meno ore di allenamento e con una maggiore intensità e qualità. Il tutto seguito e accompagnato da un adeguato recupero e riposo”. Ed è proprio il concetto di riposo quello più trascurato.

    Con il corpo umano non si scherza
    Noi siamo delle creature intelligenti. E non è solo una questione di cervello e pensiero, ma anche motoria: “Sì, il nostro corpo ci dà sempre dei segnali. Dei campanelli di allarme”. Ok, ma il fisico di un calciatore di Serie A non dovrebbe essere sempre in forma, sempre ben allenato? “Già, è proprio qui che casca l’asino: ci insegnano, dalle facoltà di Scienze Motorie, che più ci alleniamo, più corriamo, più fatichiamo e più saremo performanti. In fondo tutta la Serie A fa così. Più lavori, meglio è, più correrai in settimana e meno infortuni avrai”. Beh, chiaro: “E invece no, ma non lo dice Claudio Tozzi, lo dice la biologia umana: il nostro corpo è un retaggio di milioni di anni di evoluzione in cui non ha mai corso tanto come i calciatori. Il nostro retaggio è fatto per raggiungere un massimo giornaliero di 10/15 chilometri al giorno, ma non di scatti, ma di camminata moderata. Questo per chiunque. E’ chiaro, poi, che ci sono delle persone con una maggiore resistenza delle altre”. Ma nel concreto, l’evoluzione quanto e come ha sviluppato la forza e la capacità di resistenza alla sforzo dell’uomo? “A questo proposito faccio riferimento ad uno studio del 2013: ‘Gli atleti olimpici devono allenarsi come nel paleolitico?’ pubblicato sulla rivista “Sport Medicine” (agosto 2013) e redatto in collaborazione tra le Università di scienze motorie di Brasilia (Brasile), La Coruña/Vigo/Leoia (Spagna) e Santiago del Cile (Cile).

    Overtraining
    In pratica i ricercatori propongono il fatto che gli atleti sono tutti homo sapiens e suggeriscono che gli adattamenti dell’allenamento sono potenziati se lo stimolo è molto simile al modello di attività degli antenati umani”. E com’era questo stimolo? “Intenso e infrequente. Nello specifico è dimostrato che nel paleolitico l’uomo percorreva 10-15 km, con una stima di energia misurata di circa 3.000-5.000 kcal/giorno. Questo approccio è in accordo con recenti studi che hanno descritto un risultato migliore di allenamento nei soggetti che regolavano il loro carico di allenamento, a seconda dello stato del loro sistema nervoso autonomo”. Ma i nostri calciatori come si allenano? “Normalmente in una partita un giocatore di movimento compie circa 7-13 km a partita. Ma le squadre di serie A che fanno le coppe giocano anche tre partite a settimana, quindi un calciatore può fare 21-36 km a settimana, più tutti quelli percorsi in allenamento. In realtà non sarebbe nemmeno questo un gran problema, in quando all’epoca ci riposavamo per circa 7-15 giorni, il tempo di rigenerare mente, muscoli e articolazioni”. Già, ma al giorno d’oggi è tutta un’altra storia: “Nel calcio moderno sembra impossibile che ci si fermi forse anche solo per un giorno, figuriamoci una settimana o due. Nessuna squadra lo potrebbe fare, o forse sì se si allenasse principalmente col pallone. Provando tecnica, schemi, situazioni di gioco, tattica e posizioni in campo. Ah, c’è un altro concetto sottovalutato (nonostante sia di una banalità assurda): una partita di Serie A, ma anche di Terza Categoria come di Champions League, è già di per sé un allenamento. E anche bello intenso. Per questo è inspiegabile l’idea degli allenatori, in particolare dopo le sconfitte, di bacchettare i propri ragazzi con ulteriori sessioni fisiche”.

    Perché saltano tutti questi crociati?
    In effetti, alla luce della classica cultura del lavoro e del sudore, fa specie pensare al volume troppo alto di allenamento come principale causa degli infortuni sportivi. Tuttavia, oltre a quanto detto sopra riguardo la sentenza della biologia umana, è un attimo capire come un calciatore possa oltrepassare i propri limiti fisici: “Dal lavoro atletico giornaliero, magari in doppia seduta, contando le tre partite settimanali tra campionato-coppa europee-coppa italia-amichevoli è ovvio che i km percorsi, fatti in prevalenza di scatti, senza mai riposare, possano solo provocare affaticamenti e traumi”. Anzi, “l’infortunio è il modo del nostro organismo per dirci che ci stiamo allenando troppo. Non potendo dircelo a voce, ‘manda’ il dolore a qualche muscolo e/o articolazione a comunicarcelo, quasi a farci capire: “adesso ti faccio fermare per forza cosi non insisti a correre ancora”. Le sessioni quindi, soprattutto quelle a stagione in corso, non devono essere dure, ma semplicemente efficaci.

    L’esempio di Milik
    Di mezzo, certamente, ha un ruolo chiave la genetica e il fisico del giocatore in questione. Ultimo il caso di Milik, all’interno di un Napoli al primo posto in Europa nella classifica delle squadre con meno infortuni. E quindi Claudio, come si spiega il caso del polacco? “Milik avrebbe bisogno di un lavoro specifico, differente. Probabilmente i suoi muscoli andrebbero rinforzati, magari le sue articolazioni andrebbero studiate a fondo. Una squadra non è un esercito di soldatini. Tutti i giocatori, atleticamente parlando, si allenano allo stesso modo. Ci sono giocatori che nel corso di tutta la carriera non hanno mai avuto infortuni, altri che sono perseguitati. Muscoli deboli o deviazione della colonna vertebrale inficiano sull’angolo di appoggio delle ginocchia. Potrebbe essere il motivo dei problemi di Milik. O forse Arkadiusz è il ragazzo più sfortunato al mondo, ma non credo. Il ginocchio sta sotto la coscia, se quest’ultima non è abbastanza muscolosa non lo protegge”, spiega Claudio Tozzi. “E guarda caso i calciatori più muscolosi (con i quadricipiti possenti) sono quelli che subiscono meno traumi e infortuni”.
    Cosa andrebbe cambiato in Italia?
    Qualche concetto differente e chiarificatore, grazie al prezioso contributo di Claudio Tozzi, inizia ad emergere. Ovviamente il tutto certificato dalle prove della letteratura scientifica. Ma c’è di più. Insomma, è giusto tirare fuori qualche esempio concreto che si unisca a questa scuola di pensiero. In apertura vi abbiamo raccontato del modello Chelsea, guidato da Antonio Conte e preparato fisicamente da Tiberio Ancora (in seguito ne sveleremo i segreti nel dettaglio), ora però ci spostiamo in Spagna. In Liga, la terra del campionato più spettacolare al mondo. Dove la preparazione precampionato… non esiste. Sì, avete capito bene: non la fanno. Per credere, basta chiedere a Paco Seriul Lo – responsabile nell’era di Frank Rijkard della preparazione fisica del Barcellona e poi di quella di Guardiola al Bayern Monaco: “Ci sono molti miti per quanto riguarda la forma fisica del calcio. Uno è il riscaldamento; un altro il precampionato; il terzo, i pesi. Bene, sono per me tre questioni chiave. Ma il precampionato è il più grave. Penso che sia impossibile, in un mese, riempire il serbatoio di un giocatore per un’intera stagione. Impossibile. I preparatori, invece, continuano a puntare sull’importanza del precampionato dal punto di vista fisico. Fare allenamenti doppi e tripli per due settimane non è utile ai giocatori. La conseguenza è un affaticamento che pagheranno per le prime cinque partite di campionato, se sono fortunati. Per me è necessario prepararsi esclusivamente per la prima partita del campionato. Poi per la seconda … e così via. La preparazione fisica va fatta utilizzando il pallone da calcio. Ma parlare esclusivamente di preparazione fisica è un concetto sbagliato. La questione non è avere maggiore forza nelle gambe, ma adattare la forma fisica al gioco del calcio. Altrimenti si rischiano lesioni, dovute a una cattiva preparazione”. Quel Barcellona si divertì a vincere ogni trofeo immaginabile. Senza infortuni e con una forma fisica sempre perfetta. Dalla preparazione al riscaldamento: “Per noi il riscaldamento serve solo per entrare in contatto con i tuoi compagni e con l’ambiente. Questo è lo scopo principale del riscaldamento. Io ho visto mille volte disputare partite senza riscaldamento, senza che nessuno si facesse male. Giocare con il pallone, quindi, non è un problema”. Dal preparatore atletico del Barcellona alle leggende del campo. Scomodando un attimo Cruyff, che si riscaldava solo palleggiando. Oppure Maradona, memorabile la sua danza nel 1989 sulle note di Live is Life sparate a tutto volume nell’Olympiastadion di Monaco.

    Modelli funzionali
    E scattare un’istantanea su Maradona vale davvero la pena. Tralasciamo per un attimo il talento divino del Pibe de Oro, per caso ricordate le sue cosce? Enormi, grosse, tozze e muscolose. Semplicemente funzionali. Perfette per il calcio. Due gambe forti e dotate di quadricipiti massicci, utili a supportare qualsiasi movimento anomalo. Ed ecco la prova del nove: ricordate qualche infortunio grave occorso a Maradona nella sua carriera? Praticamente nessuno. Certo, il 24.09.1983 Andoni Goikoetxea Olaskoaga, difensore dell’Athletic Bilbao, gli entrò terribilmente sulla caviglia sinistra, causandogli la perdita del 30% della mobilità del piede mancino. Sì, questa è la proverbiale sfortuna. Quella che rischia di rovinare le carriere dei campioni. E guarda caso i calciatori più muscolosi (con i quadricipiti alla Maradona) sono quelli che subiscono meno traumi e infortuni. Esemplificativo il caso di Cristiano Ronaldo e del suo fisico statuario. Allenato, sì, ma tenuto spesso a riposo: “A Valdebebas Cristiano Ronaldo si immergeva nelle vasche di acqua ghiacciata alle tre del mattino, anche se c’era Irina (Irina Shayk, la sua ex fidanzata) a casa ad aspettarlo. La sua cura per il fisico è incredibile”. Queste furono le parole di Carlo Ancelotti, che con quel Real Madrid vinse tutto, seppur allenandosi meno del normale: “L’allenamento è importante, ma bisogna dosarlo bene. In Spagna si dice così: troppa acqua uccide la pianta. Ed è così anche per gli allenamenti. Ci si può allenare duramente, ma poi bisogna dare al corpo la possibilità e il tempo di recuperare. Io non sono un allenatore che uccide i giocatori durante gli allenamenti”.
    Realtà
    E invece no. Doppie sedute, pochissimi scarichi e tanta corsa, la Serie A è abituata a questo sistema. Da sempre. Per non parlare dei pesi, fondamentali per il potenziamento dei calciatori: “Che per essere efficaci devono essere pesanti, ma non vengono mai fatti per paura che i giocatori si facciano male: invece in Italia si prediligono gli estenuanti percorsi con i pesi leggeri, inutili al potenziamento muscolare. Ma questa è un altra storia e ne parleremo in un articolo a parte”. Perché con Claudio Tozzi, autore del libro più venduto in Italia legato alla preparazione nel mondo del fitness, di argomenti da trattare ce ne saranno ancora. E prima di arrivare al nostro modello, quello dell’Italiano vincente, quello di un Antonio Conte che grazie ad un’intelligente alimentazione e con l’aumento del riposo e la predilezione al pallone ha stupito ovunque, è giusto portare alla luce il metodo vincente di Guardiola. Ovvero lo stesso che Claudio Tozzi ci ha snocciolato in questo approfondimento. Esemplificative le parole di Rumeniggue quando visionò il primo allenamento del Bayern Monaco targato Pep: “Nessuna corsa continua, nessuna serie di 1.000 metri (esercitazione d’obbligo per la nostra Serie A, ma completamente inutili ai fini della preparazione di un giocatore di calcio), nessun circuito di sollevamento pesi, nessuna sessione atletica. La squadra svolgerà sempre tutti gli allenamenti nel campo da calcio e non vedrà mai le piste di atletica”. Ah, qualche settimana fa – dopo l’incidente di Aguero – Pep ha confermato il tutto: “L’infortunio di Aguero avvenuto nel giorno libero? Sinceramente penso che il giorno libero serva per essere felici – ha chiarito Guardiola -. Io voglio che i miei giocatori lo siano. Anch’io, che sono il manager, non amo gli allenamenti tutti i giorni perché penso che i calciatori abbiano bisogno di riposare sia fisicamente che mentalmente, in modo che possano anche godersi la loro vita. Io voglio che i miei giocatori si divertano, quindi se decidono di andare ad Amsterdam per me non c’è alcun problema”.

    L’alimentazione per non infortunarsi
    Una posizione netta e presa direttamente da Coverciano, ovvero quella di Giorgio Chiellini: “Il calcio si sta evolvendo e si va ancora più forte di anni fa perché tutto si è livellato rispetto al passato. Gli infortuni sono una conseguenza. I grandi capi decideranno cosa fare, ma si sta giocando un po’ troppo”. Ma se giocare è giustamente obbligatorio, la stessa affermazione non si può fare per gli allenamenti in settimana, troppo pesanti e inutili ai fini della perfetta forma fisica. E oggi, per andare ancora più nel dettaglio, abbiamo deciso di trattare il tema dell’alimentazione ideale per un calciatore. Attenzione, nessuna dieta e nessun regime da inventare, semplicemente in tavola scende lo stile più naturale e congeniale al genoma dell’essere umano. Scopriamolo assieme.
    Ci vuole un fisico…bestiale e alcalino
    Tra gli allievi di Tozzi, oltre a numerosi sportivi, c’è stato anche Tiberio Ancora: attuale preparatore atletico del Chelsea e uomo fidato di Antonio Conte. Non proprio un allenatore e una squadra a caso. Dal riposo, complice anche il sistema della Premier League che lascia alle squadre due giorni ‘off’, all’alimentazione. Inevitabile, dunque, partire con la più classica delle domande in materia: Claudio, ma è vero che senza pane e pasta non si avrebbe l’energia per i 90 minuti? “Per rispondere voglio fare una premessa doverosa, quella relativa al valore e all’incremento del VO2max, ovvero il massimo volume di ossigeno consumato per minuto. Una misura globale integrata della massima intensità di esercizio che un soggetto può tollerare per periodi di tempo abbastanza lunghi. Un parametro biologico che esprime il volume massimo di ossigeno che un essere umano può consumare nell’unità di tempo per la contrazione muscolare. In breve, più questo valore è alto nello sportivo, più l’atleta resiste alla fatica e ha maggior grado di resistenza. Attenzione però, è provato che l’allenamento può essere un fattore migliorativo solo in piccola parte”. E allora qual’è l’altro fattore determinante? “L’alimentazione. Infatti è stato scoperto come nelle popolazioni e nelle persone che non mangiano cereali (pasta in particolare, pane e farinacei contenenti glutine), zuccheri, legumi e latticini il VO2max può aumentare addirittura del 20/30/40%, il tutto a parità di allenamento, o addirittura senza fare attività fisica. Semplicemente mangiando. Questo valore più è alto e più l’atleta avrà una prestazione forte e sana. Ovviamente un più alto livello basale di VO2max è dettato dalla genetica, ma con l’allenamento (quello giusto, pesante ma con molto riposo) allora si può alzare la soglia”.

    Dieta Mediterranea? Un falso mito
    E allora qual è, nel calcio, la miscela ideale tra dieta e riposo per incrementare questo valore e rendere più performante un giocatore? “Si dovrebbe prevedere almeno 2 volte a settimana di riposo totale, di stacco anche dal campo di allenamento. Non è fantascienza, è roba che fanno già in Premier League, dove guarda caso le squadre hanno meno infortuni e corrono senza sosta per tutti i 90 minuti. L’ossigeno dà la prestazione e resistenza alla fatica, e se il suo valore scende allora il muscolo va in crisi, s’indebolisce e aumenta la probabilità di infortuni, crampi e stanchezza. Il corpo quando ha una maggiore quantità di ossigeno ti dà più resistenza alla fatica, e questo – oltre al talento – è quello che fa la differenza tra un campione e un giocatore normale”. Ma quindi si può ottenere energia senza pasta e i soliti carboidrati? “Assolutamente sì. Gli alimenti acidi (soprattutto la pasta, magari ancor più acidificata dalla classica passata di pomodoro) e gli zuccheri indeboliscono i muscoli, riducono e alterando i processi di ossigenazione. Non solo, cibi acidi e con glutine (in particole nei soggetti intolleranti/sensibili al glutine e non solo) possono rilasciare una proteina (la Zonulina) che rompere le “giunzioni serrate” nel rivestimento intestinale, creando un intestino permeabile: favorendo l’insorgere di affaticamento cronico e bloccando il passaggio dei nutrimenti buoni ai muscoli. Aumentando quindi la possibilità di infortunarsi”. Questa scoperta è dimostrata dagli studi del ricercatore italiano Alessio Fasano dell’università di Baltimora.

    Un’alimentazione sbagliata fa calare a metà partita
    Ma allora – per esempio – la classica ‘crostata con la marmellata’ prima della partita può inficiare sulla prestazione? “Certo. Anzitutto è una sostanza acida e con glutine (proprio come la pasta), e quindi interferisce sul valore di ossigeno nel corpo e aumenta la probabilità di debolezza. Aumentare il grado di assunzione di zucchero vuol dire che nella prestazione il corpo umano comincia ad utilizzarli come carburante preferito a discapito dei grassi. Ma il glicogeno intramuscolare, cioè la quantità di zucchero che puoi immagazzinare nel fegato e nei muscoli, ben che vada non dura più di un’ora. Motivo per cui la maggior parte delle squadre cala dopo il 60″ del secondo tempo. Col passare dei minuti il corpo dovrebbe andare avanti utilizzando grassi e proteine, ma siccome durante l’anno l’atleta ha mangiato prevalentemente zucchero e cibi acidi non ha grassi sufficienti e crolla in bambola perché li ha consumati in poco tempo”. E quindi, cosa si dovrebbe mangiare? “Beh, in Italia forse è tabù dichiarare quanto segue: ovvero che le proteine e i grassi dovrebbero essere gli alimenti prevalenti nella dieta di uno sportivo e non solo, eliminando così pasta, pane farine e latticini. Semplicemente mangiando e sostituendoli col cibo che l’uomo è abituato a reperire da sempre: frutta (zuccheri comunque ricchi di minerali e con effetto alcalinizzante, non acido ma basico), carne, pesce, uova e proteine. Magari può essere buona cosa utilizzare gli zuccheri entro un’ora dalla fine della partita, con l’obiettivo di ricaricare il glicogeno perso durante la gara. Zuccheri con proteine però, dalle banane e le patate al pollo e il pesce. Oppure il riso, un carboidrato quanto meno privo di glutine”.
    Il modello Conte
    Muscoli tonici, sani e riposati, dunque, abbiamo visto come siano il segreto per non subire rotture e traumi. Perché, come detto da Tozzi, l’infortunio è il modo in cui il nostro organismo ci dice che ci stiamo allenando troppo. Inoltre bisognerebbe cambiare qualcosa dal punto di vista alimentare. Un po’ come ha fatto Conte dalla Nazionale al Chelsea, eliminando glutine e zuccheri, aumentando così il livello di ossigeno (maggiori prestazioni e diminuendo gli infortuni). “Questi alimenti naturali la natura ce li offre da sempre, soltanto negli ultimi 10.000 anni l’uomo ha introdotto l’ agricoltura che ha portato all’ utilizzo anche di ‘nuovi cibi’ come i cereali, i legumi, latte e derivati, mai ingeriti in precedenza da nessun essere umano. Certo, per riconfigurare i nostri geni sui nuovi alimenti il nostro organismo dovrebbe farcela in almeno 20.000/30.000 anni, ma ci sarebbe un piccolissimo problema: ne sono passati ‘solo’ 10.000…”. Dalla Nazionale al Chelsea l’alimentazione di Conte privilegia l’asse proteine della carne-zuccheri della frutta e lascia in panchina i carboidrati forniti dal pane e dalla pasta (limitati nettamente). Niente abbuffate, ma tanti piccoli pasti durante la giornata. Emblematico, inoltre, il caso del giocatore della Germania e dello Schalke 04 Leon Goretzka, che in passato ha dovuto saltare molte partite per infortunio. Di recente però, seguendo una dieta priva di glutine, latticini, carne di maiale e noccioline, ha giocato quasi tutte le partite.
    Cibo e Vitamina D
    Ovvio, il talento, la tattica e la motivazioni sono alla base per vincere, ma sicuramente cercando di cambiare o quantomeno approfondire l’aspetto dell’alimentazione e del recupero si potrebbero prevenire la maggior parte degli infortuni e dei cali fisici durante le partite. Cibo e riposo. E di modelli buoni ce ne sono, dal Chelsea di Conte fino al Barcellona degli ultimi anni: una squadra che addirittura non faceva la preparazione pre campionato. Sì, nella prossima pubblicazione scopriremo il metodo di Seriul Lo, ex preparatore dei blaugrana e uomo fidato di Guardiola. E soprattutto parleremo anche di come gli infortuni siano Vitamina D correlati. Sì, questo argomento, praticamente sconosciuto, è sicuramente uno dei segreti per rinforzare in maniera naturale la salute di ossa e muscoli. “La Vitamina D, prodotta naturalmente dal sole, nei periodi invernali è in forte calo in tutti noi. La Sampdoria so per certo che integra ai propri giocatori dosi di Vitamina D, appunto per migliorare le performance e ridurre il rischio di infortuni. In particolare, gli studi dimostrano che un calciatore su tre ne è carente”. Insomma, c’è ancora tanto da approfondire, ma solo con lo studio e la ricerca delle naturali soluzioni per il corpo di un atleta si potrà ulteriormente migliorare. Perché sì, il momento è delicato, ma forse ne potremo venire finalmente a capo. Magari in una Serie A con molti meno giocatori infortunati.